mercoledì 20 gennaio 2010

P.P.Pasolini

Alla mia nazione
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

lunedì 18 gennaio 2010

Jonesco

Sogno

Perché si vede più certa la cosa l’occhio ne’ sogni che colla immaginazione stando desto.
Leonardo da Vinci

Mosca 1968







Schopenhauer

Cézanne


Alcune di queste riflessioni sull’ultimo lavoro di Cézanne e
sulle tante versioni della montagna Sainte Victoire avevano
probabilmente già prodotto qualche effetto sul mio lavoro di
questi ultimi anni. Dico qualche effetto perché non mi
riesce di definire con più precisione che cosa possa avere
prodotto sul mio lavoro la continua e sottile presenza, come
un rumore di fondo, di queste riflessioni.

Che cosa vedo e che cosa non riesco a vedere in quella serie
di quadri? Oppure: che cosa voglio vedere in quei quadri?
In fondo questi disegni, questi quadri non terminati non sono
altro che paesaggi di seconda mano, come quando da
bambini si ricalcavano le figure che ci sembravano
particolarmente interessanti senza nemmeno sapere perché
così ci sembravano.
Ci sembravano “belle”. Voleva dire misteriose? Nascondevano
qualcosa del loro senso?
“Voir comme celui qui vient de naìtre ...” scriveva Cézanne
a Bernard e si riferiva alla necessità di aggirare l’evidenza
del modello che aveva davanti ai propri occhi, tutte le montagne
che aveva visto in tutti i quadri che aveva potuto vedere:
tutte le montagne della pittura si sovrapponevano a ciò
che cercava di vedere, in trasparenza, e come su uno schermo
nascondevano il “vero”.
Semplicemente questi quadri e cartoni e disegni sono un
modo di riflettere su quel nascondimento, di seguire le tracce,
con gli strumenti della pittura, di quei quadri che una
volta avevo visto come un luccichio, un sommesso balenare
della pittura sulla superfice della tela.
Ombre, figure, la montagna Sainte Victoire
In un testo introduttivo alla raccolta di saggi "Segnavia",
Heiddeger dice: "Chi strada facendo, si sofferma su quanto
v’è di più antico nell’antico, si disporrà alla necessità di
essere poi compreso
diversamente da come egli stesso intendeva comprendersi."
E” ora possibile comprendere "diversamente" il senso del
lavoro di Cézanne?
Tentiamo di comprendere diversamente il lavoro di un pittore,
di un pittore di "vedute", che molto profondamente si
soffermò su quel più antico dell’antico che concerne tutta la
storia della pittura.
La centralità del problema del vero e del suo luogo, nei
quadri, negli acquarelli, nei disegni, negli scritti stessi di
Cézanne, ci riporta infatti immediatamente a quell’antico,
nel senso che quei testi attingono in profondità al significato
remoto del pensare al mondo attraverso la rappresentazione
nella pittura.
Paul Cézanne , nato nel 1839 a Aix in Provenza dal commerciante
e banchiere Louis Auguste Cézanne e da una sua
operaia, Honorine Aubert, muore nel 1906 sei anni dopo
Friedrich Nietzsche.
Dice Nietzsche in Zarathustra: “Tutto in me è menzogna ma
il fatto che io vada in pezzi, questo mio andare in pezzi è
autentico.” E Degas a ottantatre anni diceva: “Un quadro è
qualche cosa che richiede tanta scaltrezza e depravazione
quanto un delitto - falsificazione, e aggiungetevi un pizzico
di natura.”
Aix, 8 Sett.1906
Scrive a suo figlio Paul. "...Ici, au bord de la rivière, les motifs
se multiplient, le meme sujet vu sous un angle différent
offre un sujet d”etude du plus puissant intérét, et si varié
que je crois que je pourrais m’occuper pendant des mois
sans changer de place en m’inclinant tantòt plus a droite,
tantòt plus a gauche. ..."
Diceva un giorno a Bernard:”... Per un fenomeno ottico del
nostro organo visivo classifichiamo per luce mezzo tono o
quarto di toni piani rappresentati da sensazioni di colore, la
luce non esiste dunque per il pittore .”
E Bernard racconta del suo modo di lavorare con l” acquerello:”
Aveva uno strano metodo, del tutto diverso dagli abituali
ed estremamente complicato. Cominciava “dall’ombra”,
con una prima macchia, che ricopriva poi di una seconda
che andava allargandosi, poi di una terza, fino a che
tutte queste tinte, “facendo schermo”, modellavano l’oggetto
colorandolo. ... procedeva insomma , come gli antichi
arazzieri, facendo susseguire colori imparentati, fino ai contrastanti,...
generalizzando delle leggi, ne aveva ricavato dei
principi che applicava come una specie di convenzione riuscendo
ad interpretare senza copiare. La sua " ottica" non
era dunque un prodotto dell’occhio, ma piuttosto del cervello.”
Bernard: la tavolozza di Cézanne.
Gialli: Giallo brillante
Giallo di Napoli
Giallo cromo
Ocra Gialla
Terra di Siena naturale
Rossi: Vermiglione
Ocra rossa
Terra di Siena bruciata
Lacca di robbia
Lacca carminio fine
Lacca bruciata
Verdi: Verde Veronese
Verde smeraldo
Terra verde
Blu: Blu cobalto
Blu oltremare
Blu di Prussia
Nero pece
Le parti non dipinte, nelle ultime tele di Cézanne.
La trama della tela, la superficie nuda, gli spazi che il pennello
non ha neppure toccato, non danno la sensazione del
non finito.
Tutto ciò che non è stato dipinto entra già nella struttura del
quadro.
Tutto, intorno, cambia continuamente ed ogni vuoto è come
in attesa di una nuova determinazione.
Ciò che ancora non è dipinto è già saldamente compreso nel
processo del farsi del quadro, il "motivo".
Farsi spazio: predisporre, preparare il luogo all’accadere
della pittura e delle sue "figure".
Non si tratta di risolvere l’enigma che è nella natura, nella
sua irriducibile estraneità, è sufficiente frequentare l’enigma
o, almeno, definirne i confini e il senso del disporsi all’ascolto.
La definizione della forma non avviene negli ultimi quadri
di Cézanne nel modo del circoscrivere, del delimitare. Lo
spazio è in qualche modo incorporato negli oggetti, questi si
diluiscono nello spazio che li vorrebbe circondare e trattenere
e ne prendono possesso. I vuoti, le pause, i silenzi nel
tessuto della pittura impediscono questo avvolgimento.
Il fuoco si sposta dal centro come per effetto di una diffrazione
centrifuga, ciò che si dovrebbe vedere più precisamente
si sottrae alla definizione.
Gli oggetti si dispongono ellitticamente ai margini del quadro
e il loro fuoco, si concentra intorno a questa forma., intorno
all’ellisse si dispone come a definire un confine. Il
confine dello sguardo
Allora il centro si mostra come una "lacuna", non un vuoto
che non è niente, ma una sorta di apertura dove gli oggetti
rinunciano alla forma nello spazio.
E dice ancora a Bernard: “ ... Ora però le sensazioni che ci
dà la luce mi sviano, vecchio come sono, vicino ai settant’anni,
verso astrazioni che mi impediscono di riconoscere
la mia tela, e di delimitare la definizione degli oggetti quando
i punti di contatto sono delicati, incerti, per cui le mie
immagini, i miei quadri, sono incompleti. Oppure i piani
cadono gli uni sugli altri e ne è venuto fuori un neo impressionismo
che circoscrive i contorni con un tratto nero, difetto
che è da combattere a ogni costo. E” ancora rifacendoci
alla natura che possiamo trovare i mezzi per riuscirci....
L’ottica perfezionata con lo studio ci insegna a “vedere”.”
La prospettiva mette in gioco un modello geometrico del
vedere. L’occhio segue direttrici, circuiti canali, verso “punti
di fuga”. Scatole prospettiche, rapporti matematici, punti
di distanza, piano del quadro...forse si vede prospetticamente
perché si vede una sola faccia del reale, perché si è perduta
la pluralità dei punti di vista intorno alla univocità dello
spazio naturale.
Il tutto invisibile si frantuma e precipita in un insieme di
punti che concorrono a determinare l’artificio della visione
prospettica.
Il tutto indeterminato che si è allontanato dallo sguardo, ritorna
ora con la forma di un catalogo di oggetti, ognuno dei
quali cerca una relazione con gli altri e con lo spazio attraverso
la composizione prospettica. un luogo dove collocarsi
nel nuovo ordine del visibile.
Questo precipitare incontra qui un limite, l’oggetto finalmente
si mostra per quello che è, impenetrabile esibisce la
sua presenza, muta, senza senso, occupa, nella luce, il luogo
dell’ombra che produce. Ma in questi quadri non ci sono
ombre, le figure si adagiano completamente sulla propria
ombra e la nascondono, la luce nella quale sono calate è assoluta
e senza tempo, semplice necessità della loro presenza.
Matisse: "... Cézanne non ha mai fatto il sole, ma il cielo
coperto. Vale a dire che le sensazioni di Cézanne sono
quelle del tempo coperto.”
Il nostro occhio è stato smisuratamente dilatato, vediamo
mille mondi. Possiamo percepire ciò che sta sotto la pelle
del visibile e ciò che sta fuori dallo spazio visibile. Possiamo
vedere noi stessi da fuori di noi stessi. Possiamo lanciare
immagini in tempo reale attraverso lo spazio, in ogni più
remoto angolo della terra. Abbiamo così perduto la confortante
illusione dei confini del territorio. Abbiamo visto tutto
il mondo visibile in un solo colpo d’occhio. Vediamo ogni
giorno ogni mondo visibile. Ma questa trasparenza è accecante.
Cézanne: “Ho letto in “Pelle di zigrino” di Balzac: "... una
tovaglia bianca come uno strato di neve caduta di fresco e
sulla quale si elevano simmetricamente i coperti coronati di
panini biondi...".Per tutta la mia giovinezza ho voluto dipingere
questo ... ormai so che bisogna limitarsi a dipingere
il “si elevano simmetricamente i coperti” e il "i panini biondi"
se dipingo "coronati" sono fregato, capite?
Diceva Kafka: "Ogni cosa si ribella a diventare parola scritta."
Gli oggetti, le cose, si ribellano a diventare pittura. Forse
proprio in questa insormontabile difficoltà trova senso il
lavoro del pittore. Il "vero", ciò che si mostra nel visibile, è
sempre là a dichiarare il suo enigma, la sua irriproducibilità,
e nello stesso tempo, a scandire la misura di quella continua
ri-produzione che è la approssimazione del dipinto. Alla
fine rimangono sulla tela sempre e solo pigmenti e segni e
immagini, come ombre, tanto più lontane dal modello,
quanto più "vero"; nuovi oggetti nella luce.
Matisse: "... Cézanne non ha mai fatto il sole, ma il cielo
coperto. Vale a dire che le sensazioni di Cézanne sono
quelle del tempo coperto. ... gli ulivi sono così belli a quest’ora
. Il pieno mezzogiorno è splendido ma terribile. Trovo
che Cézanne l’ha reso bene nei suoi rapporti, per fortuna
non nel suo splendore che è insostenibile."
Perché l’interezza del visibile é continuamente smentita dall’invisibile
della interpretazione?
La superficie del visibile, la sua convessità, é solo apparenza
in ordine al vedere? Come posso vedere altrimenti?
Interpretazione o costruzione parallela?
L’interpretazione é necessaria proprio perché venga in superficie
il suo irriducibile resto?
Ogni costruzione visiva non é, in qualche modo, interpretazione
della costruzione del visibile?
E” possibile una qualsiasi costruzione parallela se non attraverso
il lavoro della interpretazione?
Che cosa guarda, nella copia dal vero , il pittore di fronte
alla natura?
Che cosa cerca Cézanne nel profilo ottuso della montagna
Sainte-Victoire guardata da Saint-Marc, da Lauves, dal
Chateau Noire e da tutti gli infiniti possibili punti di vista?
Che cosa fruga questo sguardo, che cosa, così testardamente,
cerca di "svelare", se negli ultimi anni della sua vita dichiara
la "difficoltà" di capire il senso di ciò che vede?
Quale é il "senso" di cui cosi spesso parla nelle sue lettere?
Che cosa gli sfugge, nascosto e inafferrabile, se non la traccia
di quel "sole e terra perduti" di cui parla una poesia di
John Donne?
La natura che ha di fronte, il "motivo", che il suo occhio
percorre e indaga con ostinazione, non é più fuoco e terra e
acqua ma una inestricabile costruzione di "cubi, sfere, cilindri",
ultimi "figure" della sua fisicità e insieme ultimo nostalgico
indizio di familiarità; la separazione é compiuta.
Cézanne forse vede con Baudeleire il "terrible paysage que
jamais oeil mortel ne vit...".
"Si cominciò a capire la natura quando non la si capì più;
quando si capì che essa era l’altra parte, indifferente, incapace
di accoglierci..."
Queste parole di Rilke, in uno scritto sul paesaggio e Leonardo,
possono, in qualche modo, avvicinarci al senso del
lavoro dell’ultimo Cézanne sul paesaggio.
Forse si può dire che, nel percorso attraverso la storia della
pittura occidentale, è proprio Cézanne che comincia a capire
il paesaggio quando già non c’è più, quando ciò che egli
vede è definitivamente vero solamente nella distanza. In
questo senso Cézanne dipinge tragicamente il significato di
quella natura non più capace di accoglierci; nel cogliere il
segno di questa definitiva separazione, mantiene la promessa
del suo ossessivo riferirsi al "vero".
Ciò che il pittore vede alla fine dei suoi anni, alla fine del
suo lavoro, è l’apparire di ciò che non si vorrebbe vedere.
Il vero, quel vero tanto cercato e inseguito, spogliato delle
ingannevoli vesti dell’interpretazione, diviene irrappresentabile,
perché insostenibile è la sua ottusa verità.
L’occhio si é aperto a ciò che non è più "lo spettacolo della
natura". La contemplazione, come essere presso le cose, ha
dissolto ogni confortante apparenza del "vero", l’attesa stessa
della parola del senso ha trasformato il visibile in un deserto
popolato di segni, colori , oggetti irraggiungibili nel
loro significato.
Il colore e il disegno, che intendevano scavare nella profondità
del "motivo", si separano ... come se non potessero stare
insieme, come se evitassero di chiudersi in una figura, in
qualcosa di così definitamente rappresentabile da perdere
quel senso che é custodito nella interrogazione.
Il "vero", l’immutabile tedio del sempre uguale, dove ciò
che sembrava distinguibile svanisce come in un miraggio,
affiora dalla rete dell’interpretazione, in un allucinato deserto
di luce.
Malevich 1920 :"Non ci sono più “immagini della realtà”,
non ci sono più rappresentazioni ideali, non c’é niente altro
che un deserto..."
L’inganno é opera della verità.
Cézanne
Dà da pensare , il riposo della figura,
tranquilla
all’aperto, del vecchio giardiniere Vallier
lui che coltivava l’inapparente lungo
la strada dei Lauves
Nella opera tarda del pittore, la differenza
di ciò che viene nella presenza e della presenza stessa
si umilia in semplicità, è "realizzata" e
simultaneamente rimessa a se stessa
trasfigurata in identità di enigma.
Un sentiero qui si apre che condurrebbe a una comune
presenza della poesia e del pensiero?
Martin Heidegger
La differenza di ciò che viene nella presenza e la presenza
stessa.
Cézanne :”L’irrappresentabile ( ciò che non sono in grado
di rappresentare ) costituisce forse lo sfondo sul quale ciò
che ho potuto rappresentare acquista significato. “
A Bernard:”Voir comme celui qui vient de naìtre ... donner
l’image de ce que nous vojons, en oubliant ce que a paru
avant nous .”
E ancora Cézanne, negli ultimi anni del suo lavoro di pittore:
“Si mette male. Bisogna sbrigarsi se si vuole ancora vedere
qualcosa, tutto scompare.”
Gianfranco Pardi 1990
La traduzione dei versi di Heidegger è di Emilio Tadini